(…tanto travagliato che l’articolo è un po’ lungo)
Il XII secolo fu uno dei più complessi e caotici nella storia veneziana. I Croati occuparono le città dalmate minacciandone il predominio. Una spedizione comandata dallo stesso doge Falier Odelaf le riconquistò al costo della sua stessa vita. Morto in un’imboscata, lo succedette Domenico Michiel che varò una nuova flotta diretta in Terrasanta per correre in aiuto a Baldovino II, re di Gerusalemme, incalzato dai mussulmani. Una squadra di quaranta galee, ventotto gatti (navi rostrate) e quattro grandi navi da carico lasciò il Lido nel 1122. In realtà i Veneziani erano più preoccupati dai rapporti con i Bizantini, dove l’imperatore Giovanni Comneno detto Coloianni contestava la precedente “bolla d’oro” di Alessio, che di Baldovino, ma prevalsero gli appelli del patriarca di Gerusalemme e del Papa. Raggiunta Jaffa, re Baldovino era già stato fatto prigioniero dai Saraceni egiziani, la cui flotta fu annientata dai Veneziani al largo di Ascalona. Liberarono Baldovino che gli confermò i privilegi precedentemente concordati ottenendo in ogni città del regno e dei vassalli del re, un quartiere con chiesa, mulino, frantoio, forno, bagno, piazza, servizio di pesi e misure, esenti da imposte presenti e future, da dazi doganali e tasse di soggiorno e col privilegio di giurisdizione. Inoltre dopo la conquista di Tiro e Ascalona riscossero un terzo delle città, come precedentemente convenuto.
Era venuto il momento di risolvere i conti con Coloianni e con gli Ungheresi che, approfittando dell’assenza del doge, avevano invaso la Dalmazia. Ricevettero una pessima accoglienza a Rodi, sintomo dell’umore bizantino a cui il doge reagì saccheggiando la città, lo stesso fece a Modone all’apice sud del Peleponeso, occupò Samo, Chio, Lesbo e Andro. Rientrati nell’Adriatico attaccò Spalato, riprese Traù, Zaravecchia, sede del presidio ungherese fu completamente distrutta e a Zara, nella quale non trovò resistenza, la spedizione si concluse con la ripartizione delle ricchezze accumulate dove, seguendo lo spirito comunitario veneziano, ebbero la loro parte i poveri, le vedove e gli orfanelli.
Nel 1126 Coloianni, accorgendosi che l’assenza di commerci con i veneziani danneggiava più lui che la Repubblica lagunare, ristabilì i rapporti emanando una nuova “bolla d’oro” ripristinando i precedenti privilegi in cambio della protezione dal pericoloso andirivieni di Crociati, Normanni, Italiani e Saraceni nel Mediterraneo. I rapporti con l’impero bizantino erano completamente rovesciati rispetto all’inizio, anche se l’imperatore continuava a chiamarli “carissimi amici e sudditi” in realtà l’impero dipendeva commercialmente e militarmente da Venezia. Il piccolo ducato lagunare si era evoluto e con lui anche la figura del doge che divenne quella di principe o di monarca, anche se il suo potere dipendeva dall’assemblea popolare. Le prerogative di monarca erano diverse, come il figlio, o parente, che comandava la flotta ed era sempre il figlio che reggeva lo Stato in sua assenza e c’era confusione fra beni pubblici e privati del doge.
Ma lentamente il suo potere diventò sempre meno assoluto. Dopo la morte del Michiel, il doge Pietro Polani, eletto nel 1130, aggiunse a fianco ai giudici, un consiglio, il Consilium Sapientum, successivamente Maggior Consiglio, meglio conosciuti come i savi. Se i savi limitarono il potere dogale, non da meno interferirono con quello popolare. Nell’assemblea popolare continuò a risiedere il potere, ma vincolato nei confronti dei savi da un giuramento costituzionale, in virtù del quale il Consiglio dei savi avrebbe potuto essere legittimato, nel nome del popolo, ad opporsi al doge. Un incrocio di rapporti che anticipò l’originalità della futura costituzione veneziana. Un’altra importante caratteristica di questo periodo fu l’estromissione dalla vita politica degli ecclesiastici, che sarebbe diventato uno dei postulati fondamentali della politica veneziana.
Frattanto i Normanni, con Ruggero II di Sicilia conquistarono parte dell’Italia del sud e puntarono gli occhi a est. Conquistata Corfù, l’appello dell’imperatore bizantino non rimase inascoltato a Venezia. La flotta normanna, di ritorno da Costantinopoli, venne annientata e l’anno successivo, nel 1149 i Normanni si ritirarono da Corfù. In seguito all’intervento i Veneziani ottennero altri vantaggi commerciali, ma i rapporti con l’impero si erano definitivamente deteriorati, tanto che alcuni anni dopo il doge Alberto Morosini stipulò un trattato commerciale con Guglielmo I di Sicilia e quando il nuovo imperatore si trovò in difficoltà per nuove incursioni Normanne nell’Egeo, il doge Vitale Michiel II, succeduto al Morosini, non dimostrò alcuna volontà di aiutarlo. L’attenzione era rivolta verso il “Golfo di Venezia”: gli Ungheresi si impadronirono nuovamente di Traù, Spalato e Sebenico e in Istria insorse Pola. Ci fu un intervento in favore di Fano, oppressa dai comuni vicini e, nonostante il doge fosse stato designato come dominator Marchie, fu necessario un operazione contro gli anconetani che, istigati da Pisa, disturbavano i traffici veneziani. Ma se l’Adriatico rappresentava la sicurezza di Venezia e la sua esistenza, se la Siria ritraeva un’importante fonte di approvvigionamenti e di merci, il cuore del commercio veneziano restava sempre Costantinopoli, dove risiedevano non meno di 10.000 cittadini veneziani.
Nella sua aspirazione di far tornare a brillare il vecchio impero bizantino, Manuele Comneno commise una serie di errori, sulle orme del padre Coloianni che aveva concesso vantaggi ai Pisani per togliere il monopolio veneziano, aprendo nel 1155 ai Genovesi e concedendogli un quartiere di Costantinopoli come i Veneziani e recentemente i Pisani, non tenendo conto della tensione che avrebbe provocato dato che gli italiani, abili a sfruttare ogni occasione, erano pronti a odiarsi e danneggiarsi a vicenda. Nel 1162 un migliaio di Pisani diede l’assalto alla colonia genovese e la saccheggiò per tre giorni, con la partecipazione di alcuni veneziani e della malavita costantinopolitana. I Genovesi se la presero con l’imperatore e chiesero i danni, ma insoddisfatti se ne andarono mentre i Pisani furono scacciati. Dopo varie trattative entrambi tornarono, ma la colonia genovese venne nuovamente devastata e furono incolpati i Veneziani i quali accusarono l’imperatore.
Nel marzo 1171 la polizia di Manuele arrestò i Veneziani di Costantinopoli e gli altri residenti nell’impero confiscando tutti i loro beni. A Venezia, fra l’incredulità e la rabbia fu subito allestita una flotta, ma il doge Vitale Michiel II non aveva decisamente alcuna capacità di comando, quindi fra incursioni nell’Egeo e invii di ambasciate, a cui Manuele, forte dei trattati con Pisani e Genovesi, rimase indifferente, non si concluse niente. Sopraggiunse la peste, decimò la flotta che scoraggiata fece ritorno a Venezia dove durante un’assemblea tumultuosa, i savi fuggirono e il doge spaventato cercò di mettersi al sicuro, ma qualcuno lo raggiunse e lo accoltellò.
La sua successione segnò un ulteriore passo verso la costituzione veneziana, Sebastiano Ziani, nel 1172 non venne eletto dall’assemblea popolare, ma da un comitato elettorale ristretto di undici membri designati dall’assemblea stessa. Nonostante i tentativi, Ziani non riuscì a farsi reintegrare nell’impero e la praticità dei Veneziani li volse a incrementare il commercio e i traffici su altri lidi come Alessandria, Tiro, Ceuta e nel Mediterraneo occidentale, stipulando accordi con il sultano d’Egitto e con il re di Sicilia. E mentre nell’impero germanico saliva al trono Federico di Hohenstaufen detto il Barbarossa, l’orientamento ghibellino di Genova e Pisa gli fruttava sviluppo territoriale ed economico; Veronesi, Padovani e Ferraresi cercavano di interrompere i traffici fluviali veneziani sul Po, sull’Adige e sul Brenta; la marca Trevisana turbava quelli sul Piave e il patriarca di Aquileia attaccò ancora Grado. In tutta questa tensione si inserì la partecipazione di Venezia alla lega dei comuni nel giuramento della Lega Lombarda. Non fu una partecipazione militare, ma principalmente finanziaria.
Ziani era un uomo ricchissimo, diplomatico ed eminente che diede un nuovo corso alla Repubblica. Nel 1172 appoggiò il Barbarossa nell’assedio di Ancona, senza ripudiare le precedenti politiche, ma Ancona era la testa di ponte dei bizantini, sempre istigata dai Pisani, e soprattutto per ristabilire un equilibrio: Barbarossa non doveva vincere troppo e non doveva vincere solo. L’atteggiamento di bilanciamento del doge rese Venezia accetta da ambo le parti al punto che fu scelta come luogo per la riappacificazione fra l’imperatore germanico e Papa Alessandro III che vide nel 1177 la fine del conflitto, mentre Venezia recuperò i patti iniziali e una garanzia per l’incolumità dei suoi cittadini e dei loro beni in tutto il territorio imperiale, ma soprattutto vide un notevole accrescimento del suo prestigio. Sebastiano Ziani abdicò nel 1178, poco prima di morire. Sotto di lui piazza San Marco fu estesa alle attuali dimensioni e furono innalzate sul molo della Piazzetta le colonne di Marco e Teodiato. Fu anche decisa una nuova procedura per l’elezione del doge: quattro personaggi onesti e timorati di Dio avrebbero investito quaranta elettori per la designazione del doge. L’elezione sarebbe stata poi presentata all’assemblea per la ratifica. Un tentativo di sottrarre l’elezione ai gruppi familiari, ma certamente non a pressioni politiche ed economiche. Fu eletto Orio Mastropietro, ricchissimo come il predecessore.
Intanto a Costantinopoli dopo la morte di Manuele nel 1180, la successione toccò al figlioletto undicenne Alessio II che dopo tre anni fu detronizzato assieme alla reggente madre per troppa parzialità verso i latini, portando al trono Andronico Cormeno che fece sopprimere il piccolo imperatore e la madre, aizzando il malumore nei confronti dei latini. Le colonie pisane e genovesi furono distrutte, i fondaci bruciati, le chiese cattoliche devastate e i coloni (si parla da 60 a 80mila) uccisi. Genova e Pisa sperimentarono, come Venezia, ma con più violenza, la xenofobia bizantina. Guglielmo di Sicilia approfittò dell’occasione per attaccare, prese Durazzo e Salonicco e minacciò Costantinopoli. Questo bastò perché Andronico fosse cacciato e sostituito con Isacco Angelo, ritrovando quel po’ di energia da scacciare il re siciliano. Venezia stette a guardare, ma con la diplomazia in pieno fermento, tanto che appena salito al trono Isacco Angelo, si presentarono gli ambasciatori veneziani, che ottennero nel 1187, a discapito dei genovesi, un nuovo accordo commerciale che prevedeva anche la restituzione di tutti i beni confiscati in cambio della fornitura di 40/100 galere armate e comandate da ufficiali veneziani.